Voglio andare al punto: i prodotti di Apple sono tecnologicamente analoghi a molti altri. Quando mi dici che sono più “usabili” o che sono più “facili e intuitivi” è perché devi razionalizzare un acquisto ingiustificatamente costoso. Esattamente come fa mia moglie che, quando torna a casa con un paio di scarpe da aggiungere alla decina di altre già acquistate, mi risponde “mi servivano”. Ma non è vero, non ti servono. Semmai ti piacciono, per la carità, ed hai il diritto di comprarle. Come tu hai il diritto di comprare un prodotto Apple le cui caratteristiche tecniche sono molto simili a quelle di un prodotto concorrente che costa un sesto.
Il mio non è un accanimento contro Apple ma l’osservazione critica di come un marchio di prodotti a basso valore (hardware) è riuscito a posizionarsi nella mente del consumatore in un altro spazio (lusso). Ecco perché te ne parlo qui, perché Apple assomiglia più ad un produttore di gioielli che non ad un produttore di tecnologia.
In questo percorso, la genialità di Steve Jobs è stata quella di comprendere che avrebbe dovuto controllare la distribuzione al dettaglio. Insomma il successo di Apple, in buona parte, è dovuto agli Store che sono un momento di branding fondamentale.
Gli Apple Store sono vere e proprie cattedrali dove si consuma il rito dell’acquisto ma in un modo originale. Il consumatore ha una percezione di super potere, i commessi sono Genius, l’atmosfera algida rimanda ad un contesto celestiale e – colpo da maestro – le pareti vetrate consentono di essere bene in vista durante questo momento ambito dai più.
Steve Jobs, però, è arrivato secondo in questa corsa tra produttori di hardware alla conquista del retail. Adriano Olivetti aveva aperto uno store sulla Fifth Avenue. Erano gli anni ’60.
La morte di Adriano Olivetti, prima, e dell’ingegnere capo Mario Zhu, poi, ha lasciato spazio ad altri ed in quello spazio ci si è infilato Apple. Il resto è storia.