“In the future, every company will be a software company” Marc Andreessen.
Il digital è pervasivo. Non una funzione aziendale ma un elemento che le attraversa tutte. Come dice Andreessen, tra i venture capitalist di maggior successo della Silicon Valley “Ogni società, in futuro, sarà una software company”. Perché la componente digital è ovunque e chi riuscirà a coglierne l’essenza, godrà di un vantaggio competitivo, di un asset strategico che gli consentirà di evolvere ed evitare l’estinzione.
Ricordo, mentre raccoglievo materiale per la mia tesi sulla stampa 3D, le tecnologie di prototipazione rapida erano ancora agli inizi ed avevano un movimento di detrattori in ambito orafo che usavano i soliti argomenti per perorare la loro causa. Assistendo a questa “mutazione genetica” del DNA delle aziende nelle conversazioni che facevo con imprenditori e operatori del settore, trovavo degli elementi ricorrenti che provo ad elencare per metterli a confronto con altri temi attuali. Frasi che arricchivano conversazioni molto spontanee e che erano segnali di una ritrosia al cambiamento più che di seria critica a ciò che stava avvenendo. Inutile dire che buona parte di quelle stesse aziende che guardavano agli sviluppi sulla stampa 3D come una minaccia, sono quelle estinte.
Il mio tentativo è quello di darti degli elementi pratici che ti possano aiutare a scoprire se stai affrontando DAVVERO la trasformazione digitale o se sei arroccato ancora sulla tua posizione, magari senza averne coscienza. Se trovi analogie tra ciò che elenco e ciò che avviene nella tua azienda, elementi che sottintendono principi di “mancata trasformazione digitale“, allora è bene che ti attivi per intraprendere un VERO cambiamento.
Nel prosieguo dell’articolo provo a farlo affrontando i seguenti esempi pratici:
Quanto darebbero per tornare indietro e rivedere la loro posizione?
“Il modello fatto a mano è meglio di quello stampato”.
Questo tipo di argomento, sovente, lo sentivo impiegato da artigiani modellisti o persone che avevano un modellista molto vicino nella propria rete sociale. Certamente esistono notevoli differenze tra un modello fatto a mano ed uno stampato ma queste differenze si assottigliano sempre di più, quando ci si sposta in tutta la filiera produttiva, sempre più vicino al consumatore.
“La stampa 3D è costosa”.
Ogni tecnologia dirompente, una volta lanciata, è sproporzionatamente costosa. Nel libro “Il dilemma dell’innovatore” Clayton Christensen riporta innumerevoli esempi su industrie molto diverse per descrivere questo fenomeno. Quando una tecnologia dirompente, ovvero che offre uno scarto competitivo “quantico” perché intercetta un mercato ancora nascente, viene progressivamente adottata da un’azienda allora questa gode di un vantaggio che diventa sempre più difficile da colmare. Basti pensare al costo per sequenziare il genoma: osserva il suo andamento qui sotto.
“I modelli fatti con la stampante 3D hanno una superficie ancora troppo grezza”.
Dobbiamo nuovamente scomodare Christensen che ci avverte: tutte le tecnologie dirompenti hanno in comune il fatto di essere premature al loro lancio. Nel caso delle aziende orafe, però, quelle che hanno deciso di avvicendare la figura del modellista con una stampante 3D hanno imparato. Hanno capito che dovevano crescere in azienda bravi progettisti CAD, che potevano essere veloci nel “time to market” e che questa nuova tecnologia doveva essere governata. E nel frattempo, la stessa tecnologia si perfezionava progressivamente.
Per evitare gli stessi errori di chi ha sottovalutato la stampa 3D
Tutte le mutazioni nelle abitudini sociali sono silenti ed incessanti. Quelle in ambito tecnologico, poi, procedono ad una velocità descritta da curve esponenziali. E mentre pensi di aver in mano il mondo nella tua posizione di leader di mercato, ti accorgi che qualcuno te lo sta soffiando da sotto il naso. È successo in tanti casi: Booking ha conquistato la leadership surclassando aziende veterane del suo settore, AirBnB, Uber, Netflix e molte altre hanno penetrato ambiti che erano già presidiati da un operatore leader, scalzato in tempi da record. Si tratta dell’epoca delle Organizzazioni Esponenziali che nascono all’intersezione tra “reach globale” (grazie ad internet) e velocità di cambiamento (mai stato così rapido).
I 5 punti che seguono, ti danno una primissima indicazione circa la rotta che hai preso: è quella corretta oppure pensi solo che lo sia? Leggi con attenzione e correggi la mira quanto prima.
“Ho 345.000 like sulla mia pagina FaceBook”.
Le aziende che partono dai like, normalmente, sono come bellimbusti che fanno le flessioni in spiaggia. Una delle prime lezioni che ci offre Eric Ries, nel suo testo “Lean startup” è saper discernere tra vanity metrics ed actionable metrics. Le prime sono metriche della vanità, da impiegare nei consigli di amministrazione o alle riunioni ad alto tasso di testosterone. Le seconde sono quelle che ci offrono spunti decisionali, e quindi le uniche sulle quali concentrarsi.
Agli imprenditori che usano l’argomento “like” per raccontarmi il loro grado di digitalizzazione sono solito domandare se conoscono il Pixel di FB e la risposta che ottengo, sovente, è no. Il pixel di FB consente di usare il social network mirando a target più precisi. Ignorarlo significa perdere quelle chance che offre l’epoca di internet e della pubblicità mirata come mai precedentemente si poteva fare. Se badi solo ai like ed ignori il funzionamento del Pixel di FB, inizia a preoccuparti.
“Secondo me il sito internet va rifatto perché è difficile da navigare”
Tutti abbiamo un’opinione. E questo è sacrosanto. Lo psicologo David Goleman, nel suo libro “intelligenza emotiva” ci spiega che giudicare non solo è fisiologico ma è indispensabile per la nostra sopravvivenza. Nell’epoca di internet, però, piegare l’oggettività dei dati alla nostra opinione è da sciocchi e significa perdere chance.
Agli imprenditori che fanno affermazioni come quella evidenziata chiedo se hanno installato Google Tag Manager (sovente ne ignorano l’esistenza), se rilevano indici di salute del sito e quali altri elementi oggettivi si danno per poter prendere decisioni (rifare un sito costa fatica e denaro ma la cosa più grave è che può essere una grande perdita di tempo).
“Le fiere per noi sono vitali. Mancare una fiera significa morire commercialmente.”
Le fiere sono importanti, vero. Finché l’uomo esisterà come lo conosciamo, esisteranno i rapporti umani per come li intendiamo. Contemporaneamente internet offre degli sbocchi commerciali che sono altrettanto vitali (e lo saranno sempre più). Ho assistito troppo a lungo alla pigrizia culturale di aziende di produzione orafa che, per via delle fiere, hanno rinunciato ad approfondire temi le cui keywords sono “inbound marketing“, “customer journey“, “funnel“, “crm“, “sales qualified lead” ed altre.
Le aziende che hanno una posizione così radicale sulle fiere, e sulla unicità di questo canale, purtroppo devono vedersela con sé stessi. Lo scarto culturale è troppo ampio perché avvenga “da fuori”, suggerito (o imposto) da un soggetto esterno.
“Comunichiamo con i nostri clienti mandandogli una newsletter mensile”
Se è vero che i mercati sono “conversazioni” è altrettanto vero che una newsletter assomiglia ad un monologo. Le relazioni, oggi, passano attraverso l’uso di sistemi che consentono un dialogo continuo (questi strumenti in gergo tecnico vengono detti CRM).
I social media hanno “digitalizzato” le relazioni tra esseri umani ed i consumatori si attendono un dialogo continuo e veloce (vedi la nascita dei Bot), con il proprio Brand di riferimento o l’azienda per cui hanno manifestato un interesse. Gestire le relazioni senza possedere uno strumento che consenta di iper-personalizzare la conversazione con il cliente, nega la possibilità di costruire un rapporto ed, in ultima istanza, la costruzione di una community di appassionati intorno al proprio marchio. Se sei abituato ad inviare newsletter ma non sai cosa sia un workflow, allora drizza le antenne: qualcuno la fuori, tra i tuoi concorrenti, lo ha già scoperto.
“Le foto le abbiamo, sono quelle che usiamo per uscire sulla più nota rivista di settore”
Last but not least. Quella del catalogo digitale è una delle partite più importanti, nel mio modo di vedere, per le aziende che operano in ambito gioiello. Il catalogo rappresenta il primo vero asset per l’azienda – sia essa brand, produttrice o distributrice – perché è il punto di accesso per tramite del quale il mondo entra in contatto con l’impresa (se pensi che sia un assist ai propri concorrenti, commetti un errore di valutazione importante).
Le immagini sono ad altissima risoluzione, ritraggono i dettagli e sono su uno sfondo bianco per agevolare gli operatori di eCommerce. Il catalogo poi si compone delle descrizioni (ottimizzate SEO), degli attributi (taglia/colore/numero pietre/dimensioni pietre/occasione/ecc.) e naturalmente dei prezzi. Se l’azienda possiede una rete di distribuzione nel mondo fisico, allora può crearne una online (si parla di rete di vendita online, in questo caso). Ed esattamente come i brand agevolano la vita alle gioiellerie fornendole di espositori e materiale mktg, i rivenditori online necessitano di un catalogo digitale che sia realizzato nel modo più strutturato e fruibile dal mondo intero.
Imparare dagli errori è fondamentale. Imparare dagli errori altrui è efficienza allo stato puro. La storia ci insegna come l’avvento di ogni novità sia recepito dalle organizzazione “inerti al cambiamento” come una minaccia.
È ciò che è accaduto per la stampa 3D in ambito orafo, per alcune realtà rimaste pigre innanzi a questa rivoluzione, ed accade regolarmente in altri contesti, settori industriali ed epoche storiche.
La responsabilità, in ultima analisi, è dell’organizzazione stessa perché è quella che paga la spesa più grande per un mancato rinnovamento. Se hai un’impresa ti invito ad affrontare la sfida della trasformazione digitale prendendo “il toro per le corna”. Anche tu, allora, avrai la possibilità di scoprire che è proprio davanti a queste “fratture sociali”, a questi momenti di grande stravolgimento culturale, che si celano le più grandi opportunità imprenditoriali. Del resto, per dirla con le parole di Peter Diamandis (co-fondatore di Singularity Univeristy) “siamo nell’epoca dell’abbondanza“. Sta a te decidere se sederti al tavolo o rimanere chiuso nel buco (gli uffici della tua impresa) a guardare gli altri banchettare.